Se
proprio dobbiamo dare i numeri, come sembra vada di moda in questi sciagurati
anni in Italia, diamoli tutti. Et voilà. La relazione tecnica del direttore generale dell’INPS protocollata il
22 maggio 2012 comunicava al ministero che i cosiddetti esodati erano 390.000. E’ il numero che più di due anni fa
occupò le prime pagine dei giornali, un numero che gli uffici di studio e di
ricerca dei sindacati e della fondazione consulenti del lavoro avevano già
anticipato e poi confermato e che nessuno è riuscito a smentire. E’ quella la
cifra di dominio pubblico, che si può trovare in tutti gli atti parlamentari.
Tre governi e due legislature dopo non c’è istituzione della repubblica che è
stata in grado di certificare una cifra diversa. Qualcuno gioca ancora al distinguo,
dopo tre anni, ma il punto di partenza è quello. Partiamo da lì. Il ministro
dell’epoca, non ricordiamo il nome, ma di sicuro gli errori, alcuni clamorosi,
come quello che segue, di quei 390.000 ne ammise e ne accertò soltanto 65.000 per il biennio 2012/2013. Il
ministero, come spiegarono tutti i sindacalisti e tutte le associazioni di
categoria, era l’unica struttura in grado di fornire il numero esatto perché è
al ministero che sono stati firmati gli accordi di esodo. Il ministro convocò
l’amministratore delegato e il direttore generale dell’INPS e disse che
diffondere certi numeri creava “disagio sociale” (le sue leggi invece hanno
generato dei paradisi in terra) e l’INPS si adeguò. Ma, esodato pure il ministro (lo scriviamo al maschile proprio
come voleva lei) nello stesso periodo, l’INPS ha emanato salvaguardie (2, 3, 4
e 5) per altri 73.130 esodati per
un totale di 138.130 esodati
raggiunti e tutelati, più del doppio degli accertamenti dell’allora ministro.
Le cifre sono desunte dai report ufficiali dell’INPS e la matematica non è
un’opinione. La sesta salvaguardia ha tutelato 32.100 esodati e il totale fa
170.230. Sulle salvaguardie, i dati sono ufficiali, il numero è giusto. Ora,
potremmo avere anche finito qui, stando ai tanti distinguo che arrivano da
postazioni (ben retribuite) diverse, compresa quella che comincia pure a
distinguere tra esodati ed esodandi
(ma abbiate pietà!), ma per arrivare
alla cifra di partenza, c’è una bella differenza. Non scriviamo la cifra, solo
per non aggiungere altra confusione, e perché non è nostro compito. Poniamo
alcune domande. C’è stato un errore, allora? C’è qualcosa che non va, adesso?
Ci mettiamo almeno un supplemento d’indagine prima di lanciare bizzarri
messaggi al vento? Certo, come dice uno che se ne intende, e che già sostiene
che gli esodati non ci sono più
(ma per lui è che non dovevano esserci, non dovrebbero esserci, non ci sono mai
stati), se dovessimo tutelarli tutti sarebbe abrogata la riforma Fornero. Dopo
i danni che ha fatto, dopo quello che abbiamo passato, sarebbe grottesco, ma è
un falso problema pure quello ormai, perché la vera questione è soltanto una:
vanno tutelati tutti. Salvaguardia dopo salvaguardia. Tutti, e nessuno di noi,
salvaguardato o non, si tirerà indietro fino a quando ci sarà ancora un solo esodato. Tutti. In più, se abbiamo imparato qualcosa in
questi tre anni è anche che le parole hanno un valore, perché già ci hanno
chiamati con un termine che non esiste in nessun vocabolario, poi sentirci
dire, come ormai è scritto negli atti parlamentari che “ormai esistono soltanto
casi specifici” è agghiacciante. Non è rimasto un esodato, quello, sì, sarebbe un caso specifico, singolare,
come dice la grammatica, e saremmo comunque ancora lì a lottare. Sono rimasti
soltanto “casi specifici”, ci dicono, e “casi specifici”, secondo la grammatica
italiana (sempre che matematica e grammatica valgano ancora qualcosa in questo
strambo paese) vuol dire plurale, quindi non uno (singolare), ma due, tre o
quattro o 219.770. Attendiamo il protocollo di una nuova relazione tecnica?
Cominciamo ad avviare l’iter della settima salvaguardia? Restiamo mobilitati? Certo. Appoggiamo il referendum? Qualsiasi cosa, ma non lasceremo indietro nessuno. Al
ministro di allora, che amava le lingue, lo diciamo anche in inglese, no one
at all. A quelli di adesso, lo
spieghiamo per bene: nessuno, in italiano, vuol dire neanche uno, neanche un
“caso specifico”.
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